Comunione o divisione dei beni: esiste una scelta giusta?

Tra le domande più comuni che vengono rivolte a chi fa questo mestiere, c’è quella relativa alla comunione o separazione dei beni nel matrimonio. Anzitutto, va chiarito un aspetto importante: in ambito successorio questa decisione non cambia nulla; donazioni ed eredità, infatti, non entrano a far parte della comunione dei beni. Chiarito questo punto, entriamo nel dettaglio provando a rispondere al quesito principale: esiste una scelta giusta? 

I DATI ISTAT
Iniziamo fotografando la situazione attuale. In Italia, oggi, quale delle due strade viene scelta? La risposta - fornita dall’Istat - è la separazione dei beni per il 73%. Un dato che è cambiato di molto negli ultimi 10 anni, visto che nel 2004 la percentuale era vicina alla metà, 56%. La motivazione crescente, che riguarda soprattutto le sfere socio-economiche più alte, è quella di di tutelare i patrimoni.

In generale però la scelta è presa senza particolare consapevolezza: per emulazione di parenti e amici, oppure proprio lasciata al caso. Vale la pena chiarire che, in assenza di una decisione, la legge instaura automaticamente la comunione dei beni. Ulteriore importante precisazione è che qualsiasi scelta può essere modificata: per farlo è però necessario recarsi da un notaio che, alla presenza di due testimoni, redige un nuovo accordo che verrà annotato a margine dell’atto di matrimonio.

LA COMUNIONE DEI BENI
Quando marito e moglie scelgono la comunione dei beni, tutto ciò che viene comprato durante il matrimonio, a prescindere da chi materialmente paga, è di proprietà di entrambi al 50%. Questo vale anche per gli investimenti, pur se gestiti - per esempio - solo dal marito, che li ha a suo nome: anche questi sono al 50% dei due coniugi.

Dalla comunione sono esclusi alcuni beni:

  • come anticipato, donazioni ed eredità;
  • i beni di uso strettamente personale: per esempio, i capi di abbigliamento;
  • i beni che servono all’esercizio della professione, come un computer;
  • i soldi ottenuti a titolo di risarcimento danni e la pensione per perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
  • i beni comprati con denaro derivante dalla vendita dei beni elencati o col loro scambio, purché venga espressamente dichiarato al momento dell’acquisto.  

In quali casi la comunione dei beni è la scelta “giusta”? Per esempio quando uno dei due coniugi si occupi delle faccende di casa, senza avere un “lavoro vero e proprio”: in questo modo si rende partecipe dei guadagni e degli acquisti, valorizzandone l’impegno domestico. La comunione si consiglia anche nel caso in cui uno dei due coniugi porti avanti un’azienda e l’altro lo aiuti, pur senza svolgere lavoro dipendente. 

LA SEPARAZIONE DEI BENI
Iniziamo sfatando un pensiero comune rispetto alla separazione dei beni, che sancisce per marito e moglie l’esclusiva titolarità di ciò che viene acquistato dopo il matrimonio (viene invece ovviamente diviso al 50% ciò che si crea o acquista insieme, per esempio la casa): scegliere questa soluzione non significa “amarsi di meno” o avere scarsa fiducia nel coniuge. Anche perché la separazione dei beni non solleva i coniugi dalle loro responsabilità verso la famiglia: entrambi hanno l’obbligo di contribuire, in maniera proporzionale alle possibilità, ai bisogni del nucleo familiare.

Quali sono i vantaggi della separazione dei beni? Il principale è quello di “proteggere” il patrimonio di un coniuge di fronte a un debito dell’altro o, più in generale, un bene della famiglia. Un esempio classico è il marito titolare di un’azienda, che ha debiti o fallisce: in regime di separazione dei beni, il patrimonio della moglie - a cui, saggiamente, sarebbe intestata la casa - non sarebbe attaccabile dai creditori. La separazione dei beni permette poi di godere entrambi delle agevolazioni previste per una prima casa, avendo così due immobili di proprietà. Infine, la separazione dei beni ha dei risvolti pratici più “semplici”: il (proprio) patrimonio è infatti gestibile senza, per esempio, la necessità della doppia firma in ogni situazione. L’amministrazione dei propri beni spetta però a ciascun coniuge; è però possibile delegare l’altro per le attività di gestione.

I PATTI PREMATRIMONIALI
Una possibile novità in Italia è rappresentata dai c.d. patti prematrimoniali, attualmente non previsti dal codice civile italiano ma, al contrario, molto diffusi nel resto del mondo. Un istituto che potrebbe presto essere inserito anche da noi, visto che a dicembre 2018 è stato presentato un Decreto Legislativo in materia, in fase di discussione. Di certo non verrà seguito il modello anglosassone, in cui è possibile decidere su qualsiasi cosa, infedeltà compresa. Potrebbe però permettere di trovare il giusto equilibrio in situazioni particolari ma diffuse, come quelle dell’acquisto di una casa in separazione dei beni: in questo caso si potrebbe per esempio concordare che in caso di divorzio chi tiene l’immobile è tenuto a restituire la cifra messa dalla controparte. Per avere più informazioni, bisognerà però aspettare la fine dell’iter legislativo.

 

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