La Via della Seta 4.0
di Jacopo Piol | pubblicato il 1 agosto 2019
Anno 1492, Cristoforo Colombo scopre le Americhe e ridisegna la mappa del mondo. Dal punto di vista geografico, certo; ma anche e soprattutto per l’economia e per il commercio, che si spostano definitivamente verso Occidente sancendo il definitivo declino della cosiddetta “via della seta”.
LA VIA DELLA SETA NELLA STORIA
La “via della seta” è la rotta commerciale più significativa nella storia dell’umanità, che ha collegato est e ovest del mondo - nel dettaglio, Asia ed Europa - per migliaia di anni. Aperta più di 2000 anni fa dalla dinastia Han, lungo le sue direttrici - via terra e via mare - sono stati scambiati ogni genere di prodotto, alcuni dei quali hanno segnato indelebilmente la storia dell’uomo: basti pensare, per esempio, alla carta e alla polvere della sparo.
Il celebre “Milione”, scritto dal commerciante veneziano Marco Polo nel XIII secolo, si colloca quasi alla fine della “prima vita” di questa tratta economico-commerciale, come detto spazzata via dal nuovo assetto mondiale post-scoperta dell’America.
LA NUOVA VIA DELLA SETA
Sei secoli più tardi la “via della seta” è destinata a vivere la sua… quarta vita.
I primi, storici passaggi sono stati la costruzione di due linee ferroviarie che hanno (ri)connesso l’Europa e l’Asia: la ferrovia Transiberiana, aperta nel 1903, che collega l’Europa orientale e l’Asia settentrionale; la ferrovia Transmongolica, resa operativa tra il 1947 e il 1961, che connette la Russia alla Cina tramite la Mongolia.
Passaggi fondamentali che portano fino al 2013, quando il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato il progetto “One Belt, One Road” (OBOR), un piano di investimenti di proporzioni gigantesche, i cui costi si aggirerebbero intorno al triliardo di dollari.
Dell’OBOR fanno parte 64 paesi: oltre a Cina e Russia, 16 nazioni dell’Europa centrale e orientale, 11 del Sud-est asiatico, 5 dell’Asia centrale, 16 dell’Asia occidentale e del Nord Africa, 8 dell’Asia meridionale, 6 della comunità degli stati indipendenti.
Per finanziarlo, Pechino ha lanciato il Silk Road Fund, un fondo da 40 miliardi volto ad attrarre investimenti esteri. Ulteriori 100 miliardi di dollari verrebbero poi dalla Banca Asiatica d’investimento per le infrastrutture, una banca di sviluppo fondata nel 2014 nella capitale cinese alla quale partecipano vari Paesi Europei.
OBIETTIVI
L’obiettivo è ambizioso. Mira a costruire nuove infrastrutture di collegamento tra la Cina e l’Europa, via terra (3 le direttrici principali, non interamente da costruire ma da collegare in modo efficiente) e via mare (2), che coinvolgeranno 4,4 miliardi di persone, circa il 63% della popolazione mondiale, e il 29% del PIL mondiale, corrispondente a 21 miliardi di dollari.
L’obiettivo è altrettanto strategico. Con “One Belt, One Road”, la Cina vuole rispondere alla campagna statunitense “Rebalance to Asia”, alla standardizzazione giapponese e alla crescita dell’India; al contempo, mira a sviluppare legami internazionali per far fronte a temi come l’assorbimento della sovra-capacità produttiva delle sue aziende, al mantenimento di un’elevata percentuale di crescita del PIL, all’approvvigionamento delle risorse.
OPPORTUNITÀ E CRITICITÀ
Le opportunità del progetto sono molteplici e riguardano le connessioni che si possono venire a creare: connessioni delle infrastrutture, facilitando il trasporto di merci; delle economie, aumentando i volumi commerciali; dei capitali, incentivandone i flussi; delle persone, delle culture e dei sistemi educativi, condividendo conoscenze e tecnologie.
Le criticità riguardano anzitutto alcuni “rapporti”, con gli USA tra i principali oppositori di questo progetto, visto non come un’opportunità economico-commerciale ma come un tentativo per sovvertire l’ordine geopolitico costituito, che vede appunto gli Stati Uniti in cima alle gerarchie mondiali.
Ulteriori difficoltà potrebbero nascere nell’applicazione dei business cinesi in contesti con tradizioni e culture differenti, nonché nell’implementazione di politiche comuni in sistemi economici e giuridici eterogenei. Attenzione va posta inoltre alla “percezione dei vantaggi”, anzitutto da parte dell’Europa: se i benefici sembrassero solo a vantaggio di Pechino, la cooperazione tra i partecipanti scemerebbe. Infine non si possono non considerare la svalutazione dello Yuan e la diminuzione di crescita percentuale del PIL cinese, che preoccupano gli investitori.
GLI SCENARI FUTURI
Il politico e politologo portoghese Bruno Maçães, nel suo libro “Belt and Road - A Chinese World Order” ha tracciato quattro possibili scenari futuri, che Lorenzo Lamperti su affaritaliani ha riassunto nel modo più efficace. Eccoli.
«Primo scenario: il mondo occidentale riesce a modellare il progetto cinese secondo il suo sistema, con la Cina che accetta i suoi principi di trasparenza ed engagement e si arriva a un'integrazione pacifica senza conflitti. Secondo scenario: convergenza sulla differenza. La Cina prende il posto degli Stati Uniti come centro politico ed economico globale ma permane la coabitazione con il modello alternativo occidentale. Terzo scenario: scontro tra due visioni diverse del mondo. La Cina non converge e il modello occidentale viene destrutturato e ricostruito secondo quello di Pechino. Quarto scenario: Stati Uniti e Cina non convergono e per trovare una forma di bilanciamento dividono il mondo per sfere di influenza nell'ambito di una nuova guerra fredda».
Come andrà, è presto per dirlo. Certo è che “la nuova via della seta” potrebbe ribaltare - dal punto di visto economico, commerciale e persino politico - l’asse del mondo. Un’altra volta.